di e conA. Astorri e P. Tintinelli

voce registrata Franco Sangermano

dramaturg Simone Faloppa -

disegno luci Luigi Biondi

si ringraziano di cuore per la collaborazione:

Laura Claus  per i costumi ed i consigli preziosi,  Fabio Cinicola  per le registrazioni,

Gabriele Lopez  per le foto di scena eMax S. Volontè  per la foto di locandina.

"Noi siamo i discendenti di un perduto Eden.
Il tempo è un abisso, profondo come infinite notti.
I secoli vanno, ma non avere il coraggio di cambiare è terribile.
La morte non è il peggio.
Ci sono cose molto più terribili della morte.
Riesci ad immaginarle?"


Dio creò l’uomo a sua immagine (a immagine di Dio lo creò) e dalla sua costola, per non lasciarlo solo, fece nascere la donna..
Fu un epopea da giganti quella lunga estate all’Eden (all’alba della creazione) la loro stagione più felice.
Tentati dal serpente, scelsero poi di violare l’editto divino e cogliere il frutto proibito della conoscenza. Questo racconta il mito biblico: la cacciata dal paradiso e la caduta nel tempo condanna la prima coppia, rendendo la vita faticosa e mortale.

Ci siamo immaginati di collegarci a quella coppia aggravata da un incrinatura insediata nei suoi organi, preda vana dei rimpianti.
Da allora quell’incrinatura li costringe a vivere sempre lo stesso giorno, il giorno del ricordo incrostato, alla ricerca del balsamo dell’oblio.

Tra una cena, un gioco ammazza-tempo e l’ascolto di dischi in vinile, i nostri Adamo ed Eva vivono in un giardino dell’anima, in cui tutto ciò che accade suggerisce metafore della vita psichica di una coppia.

In quattro capitoli si susseguono paesaggi e visioni proiettate su un fondale come una pellicola di un film.

Adamo ed Eva si riconoscono, discutono del caso che li ha fatti incontrare, si desiderano,
si donano, si trascurano e si perdono sperimentando la fragilità del vivere.
Sembra una lunga storia la loro, dove è necessario reinventarsi per sfuggire alla trappola dell’abitudine

che svuota inesorabilmente il segno senza fine della creazione.

I giorni fragili di Adamo ed Eva

 scritta da Laura Loi

gennaio 19, 2014 00:20

Si abbassano le luci e scende il silenzio. Appare un Eden spoglio, incolto. Eden di fili di rame, cocci bianchi di piatti in frantumi, pietre/scanni, un giradischi. Un Adamo stanco entra in scena trascinando un passo pesante, svogliato. E’ un uomo sfinito, allo stremo delle forze, un bambino stordito dentro un luogo non familiare in cui ogni oggetto lo stupisce o finge di stupirlo, e col quale cerca di giocare. Arriva Eva, una donna apparentemente spavalda, sbarazzina, frivola, una donna bambina, saltellante e traballante insieme, la parodia della spensieratezza portata male, consumata, cinica ed esasperata.

“I giorni fragili di Adamo ed Eva” ( di Alberto Astorri e Paola Tintinelli al “Teatro i” di Milano fino al 3 febbraio) si aprono così. Un dramma a tratti ilare e grottesco, dall’intro recitativo concitato, altisonante, accademico che enfatizza ancora di più il disagio, il silenzio, la quotidianità di una coppia arrivata a un capolinea che non accetta, dal quale fa marcia indietro costante, sopraffatta dalla pesantezza dei giorni che passano, dai dubbi di una vita, bugie dette male e paura della solitudine. E’ un incontro-scontro tra ombre disegnate sul muro e sfondi mutevoli che scandiscono, al loro scorrere, capitolo dopo capitolo, annunciato da una voce sospesa, sommessa e profonda, frammenti di tempo, albe e tramonti, notti.  Uno non ricorda più e l’altra dimentica, è un continuo fuggire non fuggire, è un rincorrersi e interrogarsi, accusarsi a vicenda, allontanarsi per poi cercarsi di nuovo. È la maledizione prima, dalla quale non c’è via d’uscita, mai, e dalla quale non si può morire. Sono due corpi in uno, un corpo in due, scindibili, complementari ma mai autonomi del tutto. Sofferta l’interpretazione di Alberto Astorri, dal sudore della fronte traspare tutta la fatica e la rassegnazione di questo Adamo senza risposte, ma altrettanto impassibile e duro nell’esprimere i sentimenti. Malinconica, fanciullesca e tristemente romantica l’Eva di Paola Tintinelli, ragazzina leggera e svampita, donna severa all’evenienza ma sempre con dolcezza, paziente, come lo è ogni donna col suo uomo/bambino.  Entrambi offrono uno spaccato lucido e asciutto di due mondi, da sempre, in eterno conflitto e in costante ricerca l’uno dell’altro.

Laura Loi

PHOTO GALLERY

di Gabriele Lopez

RECENSIONI

SCHEDA TECNICA

di Luigi Biondi

in co-produzione con Teatro i - Milano



I GIORNI FRAGILI

DI ADAMO ED EVA

Adamo ed Eva nel giardino del loden

6 febbraio 2014 - ELENA SCOLARI

Come eravamo. Come siamo. Come siamo ridotti. Ma invece di The way we were, giustamente Adamo ed Eva ascoltano Paradise (ma sì che la ricordate, non fate finta, che ci avete anche pomiciato… “…when I’m with you it’s paradise…”). Ahiloro però, Alberto Astorri e Paola Tintinelli non si trovano in una laguna blu, ma in un giardino trascurato e un po’ rinsecchito, che pare abbia ormai poco da lussureggiare. I vestiti sono invernali, Adamo ha un cappottino cammello ed Eva un abituccio con calzette rosse. Così, finito lo stupore, finite le tentazioni, la libido è in calo, il giardinaggio è da escludere, la Prima Coppia comincia a farsi domande, e sono le grandi domande che in tanti, in terra, ci facciamo: che coss’è l’amor, cos’è il tempo, la memoria, come si sta in una relazione, e via interrogandoci.

Questo, in estrema sintesi, il succo dell’ultimo spettacolo del duo Astorri-Tintinelli, “I giorni fragili di Adamo ed Eva”. Ed è anche il succo del frutto del peccato, un frutto non più lucido che invece di sedurre offrendo la conoscenza e punendo con la mortalità, oggi offre dubbi. Dubbi poetici, a volte filosofici, ma pur sempre dubbi.

I due attori sono bravi, già lo sapevamo, ed è sempre un piacere vedere professionisti che sanno usare voce, corpo, espressioni. Astorri e Tintinelli sanno maramaldeggiare con la surrealtà come pochi altri. Bene. Questo spettacolo però produce qualche dubbio in noi spettatori, più che sul senso della nostra esistenza, sul senso di un testo (la cui drammaturgia è curata da Simone Faloppa) che ci pare francamente un po’ inconcludente. E con questo intendiamo dire che non conclude la propria scelta, è un po’ assurdo, un po’ simbolico, un po’ citazionista (dal cinema di Godard all’Antico Testamento), suggerisce questioni sempre attuali ma non nuove e ci sembra che, alla fine, non mostri una chiave particolare per entrare nella riflessione sulle relazioni di coppia da un uscio nuovo.

Proviamo ad analizzare il contesto scenografico: alcune carabattole in stile rigattiere, da sempre cifra della compagnia, stoviglie già in frantumi e altre che vengono frantumate (come le certezze?) arbusti vari. E una parete orizzonte sulla quale gli attori stessi, manovrando la levetta di un marchingegno, proiettano panorami che mutano al passar del tempo, e della giornata, dall’alba al tramonto. La proiezione viene da una lunga pellicola disegnata che scorre, e in questa scelta è un punto significativo del lavoro. Qui leggiamo vari temi: l’eternità del tempo che scorre, che torna, sempre, senza sosta, c’è anche una sorta di superpotere dei due personaggi/archetipo in grado di muovere il loro orizzonte, già ma sono costretti a muoverlo, è una condanna, un lavoro, meccanico per di più. L’alba è sempre rosa, il tramonto è sempre rosso, ci si annoia, si prova a rompersi un ginocchio, a storcere l’equilibrio per vedere cosa succede. Adamo si chiede se non sarebbe giusto che Eva andasse con un altro. Se ci fosse, un altro.

“I giorni fragili di Adamo ed Eva” sono anche i nostri, certo, questo è chiaro, condividiamo la perplessità sull’umano. Abbiamo però l’impressione che il talento di Astorri e Tintinelli, che fragile non è, abbia bisogno di aprirsi ad un giardino più ampio, popolato di sibilanti insidie e dove l’orizzonte possa essere una sfida.